domenica 3 gennaio 2010

Il primo Economist del 2010: We can do it!

Il primo Economist del 2010 presenta in copertina il famoso poster "We Can Do It!" di Rosie the Riveter, popolare esempio di donna lavoratrice nell’industria pesante durante la 2° guerra mondiale nonché simbolo di forza e autoaffermazione (tra i vari adattamenti del famoso poster, v. quello di Sarah Palin e Hillary Clinton).



A 2 anni di distanza da Womenomics revisited, articolo che aveva coniato il termine womenomics, il settimanale inglese dedica un approfondimento sugli sviluppi economici e sociali del crescente peso del lavoro femminile nell’economia nazionale e mondiale.



L’articolo di apertura è un brillante riassunto della situazione del lavoro femminile in UK e USA, dove nel prossimi mesi le donne supereranno la soglia del 50% e diventeranno la maggior forza lavoro americana.

Certo, persistono alcuni problemi (le donne sono pagate meno e sottorappresentate nel top management delle aziende, fanno fatica a conciliare lavoro e famiglia) ma il trend positivo: women’s economic empowerment is arguably the biggest social change of our times. (...) Men have, by and large, welcomed women’s invasion of the workplace. (...) Several trends favour the more educated sex, including the “war for talent” and the growing flexibility of the workplace. (...) Women have certainly performed better over the past decade than men. (...) In America three out of four people thrown out of work since the “mancession” began have been male. And the shift towards women is likely to continue: by 2011 there will be 2.6m more female than male university students in America.

Esiste la possibilità di accellerare questa rivoluzione si chiede il giornalista? The answer is no. (...) But there are plenty of cheaper, subtler ways in which governments can make life easier for women. (...) Barack Obama needs to measure up to his campaign rhetoric about “real family values”.

Un passaggio interessante: Societies that try to resist this trend—most notably the Arab countries, but also Japan and some southern European countries—will pay a heavy price in the form of wasted talent and frustrated citizens.
Indovinate chi c’è tra questi “some southern European countries”?

To be continued...

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